Tramite questa esperienza ho avuto il tempo necessario per indossare di nuovo il mio vecchio grembiule blu delle elementari. Son tornato il 2 settembre,è passato poco meno di un mese. Probabilmente è proprio questo il tempo di percorrenza del giallo scuolabus nel compiere il tragitto.
Dietro alla cattedra, una nuova maestra. Riccioli rossi come la terra. Il suo nome inizia e finisce con la lettera "A". Non alza mai la voce, ed ha una bacchetta color marrone perla, di quelle gentili, tramite la quale indica la cartina geografica, tipo direttrice d'orchestra. Ci ha insegnato ad apprezzare ogni piccolo istante, ci ha insegnato ad avere, nel trascorrere dei giorni, lo stesso entusiasmo che si prova quando il dolcificante di turno precipita nel the di turno. E lo sai, che sarà buono. Istanti invidiati dagli dei di ogni epoca passata. La maestra dice di conoscerci come solo gli specchi sanno fare, e non si sbaglia. La maestra ci adora semplicemente perché ci conosce. Il fatto che stia imparando indica la sua bravura. Chissà domani cosa ci insegna durante la lezione?
Prima o poi torno in Africa. A proposito, in questo momento, la sua bacchetta sta indicando proprio l'Africa ,e la cartina è uno specchio.
Eugenia
Questa esperienza è stata entusiasmante e travolgente soprattutto dal punto di vista umano. Mi ha costretto ad uscire dal mio piccolo mondo fatto di abitudini e certezze per immedesimarmi nei vissuti e nei racconti, spesso sconfortanti, delle persone che ho incontrato: mi sono sentita madre, sorella, figlia, adulta e bambina. Nonostante un mese possa sembrare troppo breve per costruire dei legami profondi, è abbastanza lungo per sentirli nascere: vivere dal mattino fino alla notte con le piccole donne di Barasat significa appassionarsi alle loro lotte e alle sfide che le attendono, credere nei loro sogni e condividere le loro ansie. Significa affezionarsi al suono fragoroso delle loro risate e al silenzio delle loro lacrime. Significa provare a capire quanto sia difficile crescere senza punti di riferimento: a 10 anni come ci si sente a vivere in una casa affollata di bambine, adolescenti, suore e nuovi volontari, ma senza la sicurezza di avere nessuno che stia davvero e sempre dalla propria parte? Ho imparato da molte di loro che la forza non sta nel ribellarsi con prepotenza al deserto di attenzioni e affetto che talvolta le circonda, ma nel saper accettare con resilienza la
propria condizione. Daltra parte essere una delle Sisters significa dover affrontare un lavoro complesso: cioè quello di crescere ed educare 40 bambine, ciascuna delle quali è un mondo a sé di paure ed esigenze. Il limite della loro azione sta nel dover gestire questo intrico di anime senza avere competenze di pedagogia o figure costanti di supporto psicologico. Solo così sarebbe possibile saziare lenorme bisogno di affetto, sostegno e comprensione delle bambine e ragazze, con tutta la serenità in se stesse e negli studi che ne deriverebbe. Ho incontrato, dunque, la semplicità di un sorriso e la complessità che vi sta dietro; le braccia tese delle bambine che ti donano il cuore senza riserve, e quelle conserte delle ragazze più grandi, che hanno bisogno di fidarsi prima di affezionarsi. Ho incontrato un'umanità dal cuore aperto e spezzato, che mi ha attraversata lasciando le sue tracce indelebili e trattenendo, forse e spero, un po di me in quellaltro mondo che non sembra più così lontano.