SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

A Damasco, grazie all’8xmille, un progetto straordinario per centinaia di famiglie siriane

L’articolo che vi proponiamo è stato scritto da Giuseppe Mazzini sul progetto ENGIM-Siria che mostra come con l’8xmille la C.E.I. sta facendo molto per limitare l’esodo dei siriani dal loro paese. *** Dopo cinque anni di guerra in Siria il minimo che si possa dire è che la situazione è peggiorata. La flebile tregua fra le parti […]
24 Maggio 2016
L’articolo che vi proponiamo è stato scritto da Giuseppe Mazzini sul progetto ENGIM-Siria che mostra come con l’8xmille la C.E.I. sta facendo molto per limitare l’esodo dei siriani dal loro paese. 
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Dopo cinque anni di guerra in Siria il minimo che si possa dire è che la situazione è peggiorata. La flebile tregua fra le parti in conflitto, annunciata dall’inviato speciale Onu per la Siria, Staffan de Mistura, è vaporizzata nel giro di pochi giorni. Sono ripresi gli scontri, gli eccidi, i flussi di sfollati e di rifugiati, le fughe di migranti. Una chiave di lettura di questa drammatica situazione può essere tanto l’accorata testimonianza di chi, vivendo dentro questa tragedia, si appella alla fede per capire, quanto i freddi resoconti degli Organismi Internazionali che cercano di fornire aiuti con interventi di solidarietà confinati in un contesto di infinita emergenza.
 
L’Arcivescovo maronita di Damasco, Samir Nassar, mette a fuoco il dramma dei profughi siriani e non siriani travolti dalla guerra civile, paragonando il loro penoso vagare a quello vissuto da Gesù, Giuseppe e Maria. Per non parlare dei cristiani, continuamente minacciati e costretti alla fuga. A Damasco – dice l’Arcivescovo - il suono delle campane e il canto dei fedeli raccolti in preghiera nelle chiese si mischiano spesso con le esplosioni dei bombardamenti.
 
L’Alto Commissario dell’ONU per i rifugiati (UNHCR), Antonio Guterres, ha diffuso i dati del 2015 sull’esodo di questi anni di guerra in Siria: i rifugiati sono oltre 4 milioni e mezzo divisi fra Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto. A questa cifra si aggiungono i 7,8 milioni di sfollati interni, costretti ad abbandonare lo loro case. Solo 280 mila sono i richiedenti asilo in un’Europa, ma l’Europa è sempre più ostile ai migranti. La giustificazione di questo diniego si basa spesso su triti e banali argomenti: sono troppi, abbiamo paura, meglio aiutarli lì invece che qui. Ma lì dove? In Siria sotto i bombardamenti o schiacciati dagli attacchi degli opposti fronti dei Governativi, dell’IS e di Al-Nusra? Oppure nei campi allestiti in Turchia o in Libano, dove i profughi sono ammassati in spazi piccolissimi senza servizi igienici, esposti alle intemperie e a pandemie, nella sola attesa di ricevere dalla compassione internazionale una ciotola di riso in più? Ogni forma di aiuto è falsa, misera e anche inutile se prescinde dal rispetto della dignità della persona. È un concetto questo che vale sia per l’accoglienza dei migranti in Europa che per l’aiuto nel loro paese e nei campi profughi dei paesi vicini, come più volte raccomandato da Papa Francesco.
 
Ad Aleppo, una bella esperienza in tal senso la sta portando avanti il Vescovo melchita, Monsignor Jean-Clément Jeanbart, con il suo progetto Build to stay, cioè costruire per rimanere, un programma di formazione professionale offerto dalla Chiesa siriana a ragazzi della loro martoriata città. “Se Gesù ha fatto il falegname, puoi farlo anche tu”. Con queste parole Monsignor Jeanbart convince i suoi giovani fedeli a partecipare al progetto per farli diventare fabbri, falegnami e muratori, risorse utilissime oggi e domani per la ricostruzione del paese. Con questo aiuto, spirituale e concreto allo stesso tempo, molti cristiani sono convinti a restare nel loro paese.
 
A Damasco, grazie ai finanziamenti con l’8xmille della C.E.I. a favore del Terzo Mondo, c’è un progetto straordinario portato avanti in sordina e che merita invece di essere messo in rilievo perché, aiutando centinaia di famiglie siriane a non abbandonare la Capitale, rappresenta un’emblematica risposta a quella domanda banale europea riportata sopra.
 
Il progetto, promosso da ENGIM (Ente Nazionale Giuseppini del Murialdo) e gestito sul posto da quattro Suore della Carità di Santa Giovanna Antida, ha due componenti: una di ordinarietà, consistente nel ripristino delle attività educative della scuola “Al Riaya”, distrutta tre anni fa dalla guerra; e una di straordinarietà che prevede un aiuto in termini di bene essenziali (latte e pannolini per neonati, indumenti, buoni per l’acquisto di generi alimentari, sostegno per gli affitti, gasolio per riscaldamento) in favore di famiglie sfollate dalle aree di guerra, come Homs e Aleppo.

Queste famiglie sono tentate dall’idea di passare clandestinamente il vicino confine con il Libano nella speranza di arrivare in Europa. Esse conoscono i rischi e i costi, ma in assenza di alternative è la disperazione a prevalere facendo prendere decisioni azzardate. Ora, il progetto offre un’opportunità unica, grazie alla scuola che rappresenta il centro dell’interesse di ogni famiglia. Tutto ruota intorno alla scuola: viene garantito un insegnamento di qualità e nella lingua arabo-siriana, vengono forniti materiali didattici ai bambini più bisognosi, viene garantito un sostegno psicologico per superare i traumi della guerra e favorire la resilienza. Se poi si aggiunge che a queste famiglie vengono distribuiti beni per la sussistenza, si può ben comprendere come la loro disperazione possa trasformarsi in una semplice riflessione che le porta a sperare e le convince a restare in Siria.

Vale la pena parlare con i numeri. Inizialmente la scuola Al Riaya, ubicata sulla strada per l’aeroporto di Damasco, contava circa 2.000 alunni. Due anni e mezzo fa, dopo la sua distruzione, le Suore della Carità che la gestivano non sono fuggite, non si sono perse d’animo, ma hanno spostato la scuola più in centro, utilizzando locali del Patriarcato greco-melchita di Damasco nel quartiere di Bab Charki. Il numero di alunni si era ridotto a meno della metà (800) ma con il progetto finanziato dalla C.E.I. oggi è arrivato a circa 1300 iscritti. L’aumento è dovuto soprattutto ai figli di sfollati siriani.

Ora non possiamo sapere con certezza quanti disperati sono stati trattenuti a Damasco in virtù del progetto, ma certamente 200-300 famiglie sono state salvate, aiutate lì, sul posto, come chiedono tanti in Italia. È doveroso sottolineare che simili risultati sono stati conseguiti grazie al coraggio, alle competenze e allo spirito di abnegazione di queste quattro suore di Damasco. La loro è una battaglia confortata dalla fede, silenziosa ma esemplare per chi ama la pace. Le loro azioni sembrano ispirate a quelle di San Francesco, capaci di tenere uniti il cielo e la terra. Là dove scoppia una bomba, esse sanno indicare un rifugio, al pianto di un bambino terrorizzato sanno portare il conforto di una carezza, di fronte alla fame o alla penuria di cibo riescono a trovare i necessari, anche se pochi, alimenti per poi distribuirli equamente tra la popolazione. È una lotta impari di fronte all’infuriare apocalittico del male, ma nel buio siriano queste quattro suore riescono a tenere accesa la flebile luce della speranza. Noi abbiamo il dovere di aiutarle a non far spegnere questa luce, perché è l’unica a superare lo scoramento e a dare una risposta alla sofferenza e alla disperazione create dalla guerra. La Chiesa, attraverso la C.E.I., ENGIM e le Suore della Carità di Santa Giovanna Antida, sta facendo la sua parte ed è in prima fila non solo nell’accoglienza dei migranti ma anche per contenere l’esodo dal loro paese e gli interessi affaristici dei commercianti di schiavi.

 
Giuseppe Mazzini